Jihad, investimenti e corruzione sulla One Belt One Road

«Se me lo ordinano, uccido tutti». La frase raggelante è di uno dei quattro kossovari arrestati alla fine di Marzo dalla Polizia italiana. Il progetto dei giovani jihadisti residenti a Venezia era quello di piazzare una bomba sul celebre Ponte di Rialto, provocando una strage tra i tanti turisti che affollano tutti i giorni le strade della città lagunare. L’operazione della Polizia è scattata pochi giorni dopo l’attentato a Westminster a Londra, perché “il momento era giunto”.

I Balcani vivono oggi uno strano periodo storico. Usciti ufficialmente dalle faide delle guerre jugoslave, rappresentano una delle migliori fucine di giovani europei del futuro. Croazia e Slovenia sono apprezzate località turistiche, e anche Sarajevo ha nomea di capitale dinamica e attraente. Nell’Europa delle grandi tensioni e dell’austero sviluppo, dove i membri fondatori faticano a trovare intese anche politiche, la regione balcanica appare come un insieme omogeneo di interessi. Ma solo a una prima occhiata. In un recente report a cura dello “European Union Institute for Security Studies” (EUISS) vengono evidenziati tutti i problemi istituzionali e politici che stanno bloccando reali processi di sviluppo integrato, e che rischiano di minare la stabilità complessiva di un’area mai del tutto pacificata.

«L’ex Repubblica iugoslava di Macedonia non si è ancora recuperata completamente dalla recente crisi costituzionale […] A seguito del cambiamento del governo, il Ministero dei trasporti e delle comunicazioni ha bloccato il completamento dell’autostrada Kicevo-Ohrid, finanziata dalla Cina, con  dichiarazioni relative a perdite di bilancio di oltre 155 milioni di euro nella regione. Lo scandalo implica non solo quattro politici di alto livello del precedente governo (compreso l’ex primo ministro), ma riflette altresì l’attenzione sul ruolo dei progetti cinesi nelle infrastrutture per alimentare la corruzione nella più grande regione occidentale dei Balcani».

Una visione di Ohrid

Questa la premessa dell’analisi di Michal Makocki e Zoran Nechev, che sottolineano come la penetrazione economica cinese nell’area non sia solo motivo di accesso a una considerevole liquiditià e investimenti, ma che porti con sé anche un alto tasso di corruzione. L’autostrada in questione, finanziata per 373 milioni di euro e appaltata alla società cinese Sinohydro Corporation, doveva essere un investimento diretto della China Exim Bank per l’85%.

Gli scandali legati a un sistema di tangenti tra i politici del governo di Skopje hanno bloccato i lavori nel 2015. Il costo totale dell’opera – secondo il Procuratore Speciale nominato ad hoc – era stato gonfiato di 120 milioni di euro. La stessa azienda cinese incaricata dei lavori è nella black-list della Banca Mondiale. L’accelerazione cinese degli ultimi anni per le infrastrutture fuori dalla Repubblica Popolare caratterizza non soltanto gli immensi investimenti africani, ma anche la cosiddetta OBOR – One Belt One Road. Il progetto di Beijing è chiaro, e l’Europa è ben contenta di potersi aprire con maggiore velocità al mercato cinese.

Ma le autostrade e le ferrovie che stanno sorgendo grazie ai capitali asiatici sono oggetto di analisi da più parti. La ferrovia che collegherà Belgrado a Budapest – appaltata ad aziende cinesi sotto la supervisione degli organismi europei di certificazione – è un esempio calzante dell’integrazione specifica dell’economia cinese nell’Europa dell’Est e nei Balcani. Stando alle dichiarazioni del Ministero delle Infrastrutture della Serbia, le aziende cinesi sono state coinvolte nella costruzione di autostrade e ferrovie nella regione per una cifra pari a 5,5 miliardi di euro. La nuova ferrovia Belgrado-Budapest sarebbe infatti uno dei bocconi più ghiotti per lo sviluppo congiunto tra Cina e Serbia.

Il progetto OBOR

Da qui, con l’alta velocità prevista, si punterebbe a unirsi al porto del Pireo, già in mano cinese dopo il tracollo economico di Atene. Un collegamento diretto che aprirebbe un canale più rapido verso l’Europa Centrale. Belgrado e la capitale ungherese sono già collegate via treno, ma il tempo di percorrenza prevede otto ore di viaggio. La ferrovia promette di abbattere il tempo di percorso a tre ore totali. Ma gli investimenti di Beijing non si fermano. La China Exim Bank ha finanziato con un prestito da 1 miliardi di euro la costruzione di un’autostrada che colleghi il porto montenegrino di Bar con il confine serbo. Nonostante le grandi quantità di denaro impiegate, i contratti sono stati stipulati direttamente con le aziende costruttrici, senza passare da un processo di offerta competitiva. Evitando quindi la trasparenza di una gara, i fondi pubblici sono oggetto di una inefficiente politica di investimento, con un alto rischio di corruzione. La visione cinese potrebbe essere riassunta nell’antico detto romano divide et impera. Ma qui l’attenzione è solo a livello economico, perché gli interessi politici cinesi seguono le rotte degli investimenti, e non il contrario.

La possibilità di avere un partner così stabile e con un simile portafoglio, è certamente un’opportunità considerata più appetibile, rispetto a un’Unione Europea che assomiglia sempre meno ai suoi princìpi di base. Così la Cina acquisisce importanti stabilimenti industriali, proteggendo anche l’occupazione locale. Questo è stato il caso delle acciaierie di  Smederevo, in Serbia, dove sono presenti due altiforni con una produzione da 2,2 milioni di tonnellate annue. Dopo circa un decennio di ammodernamenti da parte dell’americana US Steel e dopo alcuni anni di progressiva privatizzazione, il governo serbo è riuscito a trovare nella cinese Hebei un partner affidabile, vendendo lo stabilimento e quindi mantenendo l’occupazione. La visione di Xi Jinping con il suo “sogno cinese” non deve, però, essere letta in un’ottica di appropriazione politica. Il gigantesco progetto OBOR mira a un ritorno della Cina sullo scenario globale come “Impero” commerciale, con differenze marcate rispetto al ventennio 1990-2010, quando il Paese era solo la “fabbrica del mondo”.

Dopo la crisi economica globale del 2008, Beijing ha dovuto guardare al suo interno, e ha puntato sull’evoluzione della crescita interna. Gli investimenti esteri sono una diretta conseguenza di questa visione di lungo termine, per cui la Repubblica Popolare non cerca affatto scontri militari. Cerca, anzi, solidità e stabilità. Per questo motivo tanti piccoli attori regionali nei Balcani – e non solo – si fidano molto di più della liquidità cinese più che delle normative europee.

©GettyImages – Aleksandr Vučić con Xi Jinping

Con buona pace della concorrenza leale. Le ultime elezioni in Serbia, lo scorso aprile, hanno visto trionfare il nuovo Presidente Aleksandar Vučić, che si è posto l’obiettivo di far uscire il Paese da un isolamento geografico ed economico che taglia le gambe a uno sviluppo forte e concreto. Le ambizioni serbe sposano perfettamente il piano di Xi Jinping. Il prestito da 170 milioni di euro da parte di Beijing per un ponte sul Danubio, a Belgrado, è stato solo un assaggio delle potenzialità della partnership. Il viaggio dello scorso maggio di Vučić a Beijing, dove ha incontrato il premier Li Keqiang, è stata solo la naturale conseguenza di interessi convergenti.

La Russia si fa dunque sentire nella regione con la sua presenza militare, e se l’Unione Europea sventola la possibilità di entrata nella comunità, la Cina finanzia direttamente i progetti. Una triplice visione di grandi potenze che sono interessate – da sempre – a un’area geografica strategica per il commercio e la sicurezza. Il piano di Belgrado è dunque chiaro, e non ci sarebbe assolutamente nulla da obiettare. Tuttavia, la scarsa chiarezza degli investimenti esteri lancia una luce poco rassicurante sul futuro economico dell’area. A metà luglio Ana Brnabić, Primo Ministro della Serbia, ha visitato la centrale elettrica “Kostolac B” insieme al Presidente del Congresso Nazionale cinese Zhang Dejiang. Durante l’incontro, è stata ribadita la volontà della società cinese CMEC di costruire un nuovo impianto elettrico da 350 megawatt «che sarà significativo per aumentare le capacità del settore energetico serbo».

Nel prossimo autunno dovrebbe inoltre aprirsi un collegamento aereo diretto tra Belgrado e Beijing, allargando quindi il campo della cooperazione al turismo. Intanto la Serbia continua a cercare una soluzione per la questione del Kosovo. Recentemente Vučić ha proposto di aprire nel Paese un “dialogo interno” per affrontare «in modo concreto e realistico» un problema che condiziona la politica complessiva, oltre che la sua posizione internazionale. «La Serbia di oggi non è più quella di una volta, non è un Paese debole come nel 1999, nel 2004, nel 2008. Ma la Serbia non è arrogante come lo è stata in altre occasioni». Le prime polemiche hanno infiammato la scena, con i partiti più conservatori e nazionalisti che hanno attaccato questa sospetta “apertura” istituzionale all’indipendenza dell’ex regione serba.

Ma il Kosovo resta un problema aperto anche per la stabilità internazionale. Lo scorso giugno il programma UNDP delle Nazioni Unite aveva rilasciato un report sulla prevenzione dell’estremismo nel Kosovo, sottolineando un aumento dell’influenza dei gruppi estremisti. Tra i vari aspetti che alimentano la crescita di piccoli gruppi armati, la corruzione, la povertà diffusa, la mancanza di prospettive economiche solide, oltre che l’indrottinamento religioso e il senso di isolamento dal mondo. Aspetti già noti quando si parla di radicalizzazione, che però qui sottolineano anche un modello di crescita economica estremamente diseguale. Lo studio dell’UNDP suggerisce quindi non soltanto un maggiore controllo di polizia, ma anche un coinvolgimento più ampio nelle politiche locali. Un aspetto, questo, che rischia di non trovare una pacifica soluzione con l’ala più nazionalista della Serbia. La strategia cinese nel Mediterraneo è variegata.

Da una parte gli investimenti nei terminal portuali, come ad Atene e a Genova, mentre viene incentivato lo sviluppo di infrastrutture dedicate e le partnership bilaterali a livello istituzionale. Cosco Shipping ha acquisito il 67% del porto greco nel 2016, per una spesa di quasi 370 milioni di euro. L’idea italiana di agganciarsi al progetto OBOR punta fondamentalmente su due snodi cruciali: il porto di Genova e la piattaforma NAPA (North Adriatic Port Association), che include i porti di Venezia, Ravenna, Trieste – per l’Italia – insieme a Capodistria, in Slovenia, e Rijeka, in Croazia.

Un valore stimato in 2,2 miliardi di euro per un progetto che dovrebbe essere finanziato in primis da fondi pubblici per aprire l’Adriatico all’arrivo delle merci cinesi via treno, con la possibilità quindi di allargare il bacino alla Germania. La competizione nella regione è viva più che mai, e ognuno vuole riuscire a “saltare sul treno” del progetto, sempre che le stime riescano a diventare reali, e a trasformare il “sogno cinese” in un volano economico di grandi entità.

©Leonardo Parigi

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