Africa, il gigante è pronto

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L’Africa entro il 2020 sarà un un gigante economico. Possibile? Da almeno dieci anni si leggono  scenari internazionali che prevedono una crescita esponenziale di molte regioni mondiali, spesso poco legate a dinamiche già consolidate. [articolo pubblicato su The Meditelegraph]

Poco più di dieci anni fa si iniziava a parlare di BRICS. Dal Brasile alla Russia, dall’India alla Cina. Ma una visione più ampia vedeva presenti in questo gruppo di Paesi in via di sviluppo anche il Messico, la Corea del Sud e altre nazioni satellitari. La crescita c’è stata. Per molti, non per tutti.

Eppure alcune realtà si sono dimostrate giganti con i piedi d’argilla, strangolati dalla crisi economica globale, colpiti dalle scarse risorse interne, affossati da un sistema istituzionale non in grado di far fronte a crisi politiche interne ed esterne. La Cina, certo, è diventata un player mondiale non solo importante, ma fondamentale. Forse il primo in assoluto, a spartirsi la leadership economica globale con gli Stati Uniti, ma non ancora quella politica. L’Africa, in tutto ciò, è cambiata molto. Dipende dai punti di vista, certo. Dai parametri. Lo scorso 16 dicembre la conferenza “Africa: sfide e prospettive”, alla Camera di Commercio di Genova, cercava di fare il punto della situazione. In poco più di cinque anni, lo scenario dei Paesi africani affacciati sul mediterraneo è completamente cambiato. Le rivolte popolari – o pilotate – contro l’establishment in Egitto, Tunisia, Libia e Siria hanno modificato dalle fondamenta le prospettive verso il Mediterraneo, e anche come l’Europa guarda a loro.

Intanto l’instabilità si è espansa in tutta la fascia del Sahel, dalla guerra civile in Costa d’Avorio nel 2010-2011 al conclamato fallimento statuale in Somalia, passando per la guerra aperta tra Sudan e Sud Sudan. Ma tanti altri attori nazionali hanno iniziato a crescere. Per inerzia, per sforzi interni, per cambiamento. E anche grazie agli investimenti esteri. Della Cina, soprattutto, ma anon solo. La Nigeria è un gigante da 180 milioni di abitanti che entro il 2050 potrebbe vedere più che duplicata la sua popolazione, mentre il Sudafrica cresce a ritmi impressionanti per i Paesi occidentali.

Il Kenya, il Gambia e il Senegal sono mete turistiche che si stanno ritagliando uno spazio sempre più ampio, ma ancora non basta. A tracciare la linea economica africana al congresso di Genova Lia Quartapelle, deputata del Partito Democratico nella Commissione Esteri: «L’Unione Europea crea il 25% della produzione mondiale, e da sola fornisce il 50% del welfare globale. Ma nel 2040 un quarto della popolazione del pianeta sarà africano». Il fenomeno migratorio a cui assistiamo oggi in Europa non è certamente un aspetto nuovo dell’umanità, anche se le dinamiche attuali spingono verso nuove direzioni le intenzioni politiche internazionali. Ma attenzione a vedere il fenomeno solo come intercontinentale: le migrazioni inter-africane sono molto più ampie di ciò che pensiamo.

Mombasa, Kenya

«Il Governo Renzi ha cercato di consolidare la presenza italiana nel continente per avere un quadro complessivo dello sviluppo africano. Per quanto riguarda la cooperazione si fa già molto», spiega Quartapelle, «ma oggi l’Italia possiede un disegno strategico-economico condiviso da più Ministeri con un’indicazione di priorità». Questo significa affrontare strutturalmente come sistema-Paese sfide quali la formazione, il sostegno alle imprese, il cambiamento climatico. La formazione, in primis. Collegare e migliorare i sistemi di interazione tra le università italiane e le tante università africane, per essere già presenti in un contesto in rapido sviluppo. «Calenda [Ministro per lo Sviluppo Economico ndr] ha già fatto molto, con la costituzione di hub italiani nel continente per fornire appoggi e supporti istituzionali per l’esplorazione di mercati nuovi, ma nelle iniziative del Governo c’è anche una base collegata a Cassa Depositi e Prestiti legata alla legge 125 sulla cooperazione internazionale».

Nelle intenzioni di Roma, dunque, sarà CdP a mettere una base di risorse per abbassare i costi degli investimenti in mercati ad alto tasso di rischio, e perciò esageratamente costosi per piccole e medie imprese italiane, che però potrebbero avere in Africa un naturale sbocco commerciale. Per quanto riguarda il clima, la ratifica degli accordi di Parigi ha aiutato la visione più ampia della cooperazione, ovvero creare un ambiente migliore per l’intera comunità umana. Se già oggi molte migliaia di migranti che spingono sui confini europei sono persone che fuggono da povertà e miseria, il futuro potrebbe essere anche più drammatico. L’aumento delle temperature globali porterà alla desertificazione di grandi aree che verranno dunque strappate all’agricoltura e alla pastorizia.

Le inondazioni e le alluvioni, di contro, saranno eventi atmosferici disastrosi in regioni con scarse misure di prevenzione. In questo caso, quindi, contribuire a un miglioramento sostanziale dell’approccio ambientale significa investire per un futuro migliore in campi anche diversi, tra cui le possibilità di commercio e i fenomeni migratori di massa. Una struttura, quella di supporto del Ministero italiano, ben vista dal mondo del commercio.

«L’African Act è lo strumento necessario alle imprese per sentirsi maggiormente supportate», il pensiero di Paolo Odone, Presidente della Camera di Commercio di Genova. Gli interventi di Giorgio Musso, ricercatore dell’Università di Perugia, Massimo Taurini, direttore del magazine “Africa e Affari”, e Andrea Romano, CEO di ETC, hanno seguito lo stesso filone di pensiero. L’Africa si sta aprendo davvero, e lo fa a passi da gigante. Nonostante le sempiterne carenze strutturali, e le incessanti instabilità interne ed esterne, molti dei Paesi oggi coinvolti nello sviluppo vedranno davvero la luce.

Potranno imparare dagli errori e dai pericoli che hanno corso i Brics nell’ultimo decennio, migliorando l’ambiente economico e politico, investendo in formazione e in riforme politiche adeguate. Certamente ci saranno problemi, e molti che oggi sembrano lanciati verso un futuro radioso avranno grane non da poco. Ma alcune nazioni africane sono davvero pronte per il salto di qualità. Tuttavia, «Quello che si è messo in moto con le rivolte arabe non sarà un’instabilità che terminerà nel breve periodo», afferma Giorgio Musso. «Abbiamo oggi dinamiche conflittuali, come in Siria e in Yemen, che hanno ripercussioni profonde anche sull’Europa, e che continueranno ad acutizzarsi. Dal 2014 il Mediterraneo non si può più considerare come in precedenza, e tutto ormai viene svolto con accordi bilaterali tra gli attori nazionali». In Africa le Pmi sono presenti in Paesi a basso rischio, ma è necessario dare degli strumenti di lettura alle aziende.

La nuova ferrovia Gibuti-Etiopia

La nuova ferrovia Gibuti-Etiopia

Pensiamo alla Nigeria: un colosso che viene ritenuto ad alto rischio per aziende di piccole e medie dimensioni, ma in realtà solo in alcune regioni il pericolo è reale. Così come in Sudan, dove la guerra continua, ma è circoscritta a un’area precisa. Analisi condivisa e approfondita da Zaurrini, che dice: «Fondamentale studiare il territorio e trovare dei partner seri in loco. L’Africa è un luogo di straordinarie possibilità, ma gli europei tendono a vedere i problemi, mentre la Cina e l’India notano le infinite occasioni di business. E’ necessario cooperare con le istituzioni italiane già prima di insediarsi in un nuovo Paese, per evitare di dover poi ricorrere a paracaduti istituzionali solo in caso di problemi. Il Ministero degli Esteri ha una nuova linea di funzionari giovani, preparati e tenaci. Fra vent’anni», continua, «l’Africa sarà l’unico mercato ad avere forza-lavoro giovane in crescita».

Oggi qui si sperimenta innovazione tra tecnologia e sviluppo, utilizzo delle rinnovabili, dei pagamenti online, della protezione climatica. Per affrontare questo tipo di mercati, però, è necessaria una buona preparazione». I dati delle Nazioni Unite affermano che entro il 2050 il 60% della popolazione africana vivrà in un contesto urbano, modificando quindi consumi e abitudini. Di pari passo, aumenterà la speranza di vita, e anche la qualità, condizionando gli acquisti, il cibo, i mezzi di trasporto. Una rivoluzione che non può più aspettare.

Tutti i diritti riservati ©Leonardo Parigi

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